C’è
un aforisma che sembra formulato apposta per sottintendere la versatilità di
uno scultore come Beppe Borella. È dell’umorista americano Arthur Bloch, autore
del libro La legge di Murphy: «La scultura è quella cosa contro la quale vai a
sbattere, in un museo, quando fai due passi indietro per guardare meglio un
quadro». Bene. Borella si trova talmente a proprio agio con il marmo, l’onice,
la quarzite; padroneggia e scolpisce a tal punto la materia, da permettersi il
lusso di appenderla alle pareti. Di trasformarla in Tableaux Sculptures.
Preziosi quadri sculture: come quelli esposti lo scorso anno a
Parigi e questi,
che state osservando. L’artista lombardo parte da una superficie monocromatica
(naturale o smaltata), la incide o la buca fino a creare le serie Orbite,
Depth, Double Sign, Color, Spazi e Tagli che s’ispirano e reinterpretano l’arte
Ottico-Cinetica, la Pittura Analitica, lo Spazialismo, le Estroflessioni. E
sulla superficie, ogni volta, convivono visibile e invisibile, luci e ombre,
idea e realizzazione. Vi sono poi Orbite, Epicentri e Spazi, minuziosamente
incorniciati, dove Borella evidenzia le nervature del marmo; oppure (nelle
ControNature) dove l’incisione spezza o esorcizza la nervatura stessa. In
entrambi i casi, a prima vista, la contemporaneità del marmo si confronta con
l’antichità delle cornici in legno. Nella realtà, i ruoli si ribaltano: è la
storia del marmo, millenaria, a rendere contemporaneamente le cornici. Stefano Bianchi