sabato 1 marzo 2014

FEDERICA MANENTI, ANNALISA FULVI, ELEONORA BORTOLAMI Urban life



Tre artiste del panorama contemporanea. Tre modi di metabolizzare la città al femminile con la scultura, la pittura e la fotografia d’autore.

Federica Manenti fotografa il brulichìo della vita quotidiana. Ci guida, con la serie di scatti Life In Still Life (Live), lungo un percorso visivo che cattura lo “stop & go” di persone che salgono, scendono, interagiscono fra loro, si ignorano, socializzano, camminano solitarie. Lo spazio è bianco latte, ogni particolare superfluo è stato cancellato. Non c’è skyline sullo sfondo né esistono strade, incroci, edifici, marciapiedi. Qualche barriera, semmai. Qualche scorrimano a circoscrivere (o a rendere labirintico) il va-e-vieni di queste comparse che chiedono di essere seguite/inseguite dal nostro sguardo. Di questo coagulo d’identità che “indossano” macchie di colori forti, caldi e poi freddi per farsi notare, percepire, comprendere.

Annalisa Fulvi dipinge la città che muta pelle. Appropriandosi dei “lavori in corso”, ci svela le aree urbane che si trasformano demolendo in parte il passato per poi ricostruirsi; occupando nuovi spazi per potersi rigenerare. Ogni sua osservazione è il principio di una libera pittura architettonica dove edifici, ponteggi e nuclei abitativi si allineano e sovrappongono delineando superfici, geometrie, vulnerabilità. Ogni quadro è un paesaggio nel cuore o ai margini metropolitani; una messinscena che ingloba prospettive insolite, sperimentazioni astratte, pennellate gestuali, colori fluorescenti mutuati dalla Pop Art, oggetti seriali dall’effetto “magrittiano”.

Eleonora Bortolami crea case-nido, case-tana, case-conchiglia. Ci si sente protetti e coccolati, dentro. Le sue Villette a schiera, fra arte e design, sono abitazioni-tipo inserite in città-modello; fantasiosi microcosmi Optical che ognuno può scegliere azzerando consumismo, materialismo, sprechi, abusi edilizi. Non hanno porte né finestre, ma esprimono il candore di un mondo fiabesco e spontaneo come i giochi della nostra infanzia, dove sarà psicologicamente bello tornare ad abitare. 

                                                                                     Stefano Bianchi